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Barbara MrsTeapot B's favorites book montage

Narcopolis
Libertà
Mr Gwyn
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Nel tempo di mezzo
1Q84: Libro 1 e 2. Aprile-Settembre
Ragione e sentimento
Una cosa da nulla
84, Charing Cross Road
Mr Jones e lo zoo della Torre di Londra
C'è ma non si
Il profumo
Stirpe
Le notti bianche, La mite e Il sogno di un uomo ridicolo
Il Circolo Pickwick
Il Maestro e Margherita
La signora Dalloway
La cena
Un giorno di gloria per Miss Pettigrew
La metamorfosi


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lunedì 28 dicembre 2009

Papà Bassotto torna con Corpo Morto

Una scommessa, il cadavere di uno sconosciuto nascosto in una barca, i problemi finanziari di un editore, Serena, i dissapori tra due soci, una donna misteriosa ed un amante misterioso, segreti, bugie. Non era questo che il metodico e tranquillo vicecommissario Zottìa, di Milano e sposato, si aspettava da quella vacanza tanto agognata, meritata, solitaria e temuta a Positano. Temuta perché avrebbe incontrato dopo anni la sua ospite Teresa, sorella di Serena, quest’ultima suo grande amore mai apertamente dichiarato, entrambe compagne di università ed amiche di Zottia.
Zottia farà quindi parte, per otto giorni, di un gruppo di amici, tra cui, oltre a Teresa e consorte, l’inaspettata Serena, che ha appena lasciato il marito, un giornalista intraprendente innamorato di Serena, il notaio Vuattone, il borioso editore Aureliano Severi, sua moglie e la cagnolina Meg Ryan, i due soci del marito di Teresa.
Al terzo giorno della sua permanenza nella meravigliosa Costiera Amalfitana, il ritrovamento del cadavere. Zottia viene inevitabilmente coinvolto nelle indagini insieme al Maresciallo Antuoferno ed inizia l’avventura, in modo elegante, pacato, intelligente ed ironico.
Non ci sono scene di sesso, ma amori romantici, non ci sono bambini o donne che subiscono violenze, non c’è droga, non ci sono file criptati, mancano zombie e vampiri, non ci sono inutili ed antiestetici spargimenti di sangue. Vi si trovano bigliettini – di carta! - strappati, analisi psicologiche, deduzioni basate sulla logica, altri cadaveri ed un finale inaspettato.
Se non fosse per l’ambientazione contemporanea, Corpo Morto potrebbe sembrare un classico del giallo, perché di questo ha il buongusto, la raffinatezza, la semplicità, l’eleganza e tanto humour, grazie a più di una figura, tra cui spicca quella dell’editore (denuncia ironica del mondo del libro?).
A dodici anni dal suo primo romanzo giallo, “Testimone invisibile”, Marco Polillo torna con tutta la sua passione e l’amore per il mystery all’inglese, che l’hanno portato a pubblicare l’ormai mitica collana I bassotti. Speriamo non dover attendere tanto per un terzo romanzo.

http://corpifreddi.blogspot.com/2009/12/corpo-morto-marco-polillo.html


martedì 15 dicembre 2009

Letture natalizie - Sotto la neve


E' la Vigilia di Natale quando una tormenta di neve investe il treno delle undici e trentasette da St. Pancras, bloccandolo in aperta campagna inglese, e creando non poco disagio per i passeggeri, tra i quali i sei occupanti di uno scompartimento di terza classe. Improvvisamente l'anziano signore di quel gruppetto, sensitivo ed esperto di fantasmi, scende dal treno di corsa, senza dire nulla, all'inseguimento di Dio solo sa cosa. Quattro dei passeggeri rimasti, attoniti, decidono di seguire le sue tracce, poco visibili a causa dell'incessante e sempre più violenta nevicata. La sorte li guida nei pressi di una villa, illuminata all'interno. Bussano: nessuna risposta. Entrano: nessuno ad accoglierli. Chiamano: nessuno risponde. Neppure lo strano sensitivo. Ad accoglierli solo un grande quadro sulla parete sopra il camino. Una pittura ad olio in una pesante cornice dorata, e rappresenta un anziano signore dalle spalle ben dritte che sembra fissarli con un'espressione cinica, quasi di sfida. Ci sono altri quadri appesi alle pareti, e salgono lungo una scala che curva, ma gli ospiti non invitati hanno occhi solo per il ritratto dell'anziano signore, per via della presenza dominatrice del soggetto.
I camini sono accesi, la tavola della sala è apparecchiata per il tè, la dispensa è piena di provviste e in cucina c'è il bollitore sul fuoco, ed un coltello sul pavimento.
Il disagio aumenta, ma il maltempo imperversa e quello è di certo un rifugio sicuro. Sicuro?
Dopo alcuni momenti arrivano anche lo strano sensitivo, in compagnia di un figuro alquanto ambiguo. Poi il sesto occupante dello scompartimento del treno. Il gruppo è ancora riunito in quella inquietante e solitaria dimora, con i suoi rumori, le sue presenze, i suoi segreti ed un cadavere sepolto in giardino dalla neve.
Se il cadavere è del padrone di casa, chi l'ha ucciso e come ha fatto a fuggire l'assassino? L'ha ucciso con il coltello trovato in cucina? I rumori che si sentono in casa sono dell'assassino? Ma la casa è vuota a parte gli ospiti. Fantasmi, si mormora.
Nel giro delle ventiquattro ore della storia, si passa dal mystery, alla ghost story, al giallo deduttivo.
Farjeon è abilissimo nel creare quell'atmosfera gotica che si vive leggendo il libro, una trama intrigante e logica e nel delineare in modo sublime il carattere e la psicologia dei personaggi.
Lettura adatta a questo periodo natalizio, ancor più suggestiva se davanti ad un bel fuoco scoppiettante, con una tazza di tè bollente ed accompagnata dal fischio del vento che fa danzare enormi fiocchi di neve. Perdonate i clichés, ma non ho resistito.

mercoledì 25 novembre 2009

Intervista a Valerio Varesi

Ho avuto l'onore di intervistare Valerio Varesi per il mitico blog "Corpi Freddi - itinerari noir".

Corpi Freddi: In questo tuo ultimo romanzo ho trovato un Soneri più introspettivo del solito, più combattuto, e combattivo, sia sul piano personale che in quello lavorativo. Un Soneri cresciuto, più saggio. Questa crescita ha seguito quella di Varesi, quella dei tempi, intesi come società, o semplicemente il suo orologio biologico?

Valerio Varesi: Soneri è un personaggio in itinere che cambia col tempo e quindi, come tale, non è mai uguale a se stesso come lo sono certi personaggi seriali, per esempio Maigret. E’ quindi ovvio che l’orologio biologico detti il suo tempo, ma penso che sia prevalente il cambiamento che riguarda me che scrivo. Ogni mattino ci svegliamo un po’ più nuovi e in quello che facciamo tutto questo si riverbera inevitabilmente. L’involuzione della nostra società e il progressivo corrompimento dei valori che la dovrebbero sorreggere, mi rendono più rabbioso e allarmato. Così anche Soneri ne risente.

CF: Sicuramente complice l'ambientazione montana, dalle pagine del libro trasuda una forte spiritualità che porta a tanti spunti di riflessione su molti temi etici. La filosofia rimane il tuo grande amore?

VV: I monti con la loro metafora dell’ascesa e i silenzi che li abitano certo favoriscono la riflessività e la spiritualità. Ma l’etica ritengo sia una componente fondamentale della letteratura in generale. Non v’è letteratura se non c’è anche etica. E’ uno dei compiti dello scrittore quello di estrarre un senso (magari non condivisibile o opinabile) da una vicenda umana o da una serie di fatti descritti, siano essi reali o di fantasia. Per cui la filosofia, in quanto “ragion pratica”, etica appunto, entra sempre nei miei romanzi.

CF: Nei tuoi romanzi, anche in questo, non manca la denuncia sociale. Trovi che scrivere dei mali della società in un romanzo sia più di impatto sul pubblico? Gli italiani sono talmente abituati alle brutte notizie trasmesse dai media da non farci più caso?

VV: Il fatto è che la gente è bombardata dalle notizie tra le quali è impossibile distinguere quelle vere e quelle meno vere. Ne scaturisce una confusione estrema secondo il celebre motto che troppa informazione produce l’annullamento dell’informazione. Allora tentare di racchiudere in un romanzo il senso compiuto di una vicenda emblematica, cercando di cavarne fuori una logica, è un tentativo spesso chiarificatore che può anche diventare la chiave per decifrare aspetti complessi dell’oggi.

CF: Stai già lavorando a qualche altro romanzo?
VV: Ho cominciato una nuova inchiesta di Soneri che avrà per tema lo scontro generazionale e, dal punto di vista paesaggistico, si snoderà su due mondi diversissimi di qua e di là dell’Appennino: la pianura padana e il mare di La Spezia.
CF: Come hai appreso e hai reagito alla notizia della candidatura de "Il paese di Saimir" al premio Scerbanenco?
VV: Mi ha fatto piacere, ma devo dire che è la quarta volta che vado in finale allo Scerbanenco. In un certo senso sono un veterano. Mi piace anche esserci andato con quel romanzo che non è un poliziesco, ma un noir sociale. Come ho detto prima, tengo molto all’impegno etico e scrivere un libro di denuncia sulle morti bianche portandolo alla finale di un premio credo che sia significativo non tanto per me quanto per quello che quel romanzo rappresenta.
CF: Oltre ai gialli scrivi anche romanzi di narrativa. Quale preferisci scrivere tra i due?

VV: Non distinguo mai tra gialli e narrativa di altro genere: ci sono semplicemente i romanzi, tutto qui. Penso che la realtà possa essere raccontata in vari modi. Ci sono storie che possono adattarsi al giallo e storie che necessitano di altri registri narrativi. Nel giallo esprimo l’indagine senza trascurare l’approfondimento psicologico e il tratto d’ambiente cercando di fondere poliziesco puro e noir. Negli altri romanzi, l’aspetto dell’animo umano è forse più sviluppato così come la valenza etica del racconto. Ma l’obbiettivo è sempre la realtà, la sua descrizione e la rappresentazione trasfigurata nella finzione letteraria.

CF: Si avvicina il Natale. Hai qualche libro, giallo o non, da consigliare?
VV: Consiglierei i libri di Jean Claude Izzo, un grande autore non ancora valorizzato adeguatamente, in particolare "Il sole dei morenti". Poi un grande autore tedesco come Sebald che ha scritto "Austerlitz", un capolavoro anche se un libro un po’ difficile. Tra gli italiani consiglierei un classico del giallo atipico: "Quer pasticciaccio brutto de via Merulana", un libro straordinario.
CF: Un sentito grazie a Valerio Varesi per la sua disponibilità, umiltà e umanità, e per i romanzi che scrive, mai vuoti, sempre coinvolgenti, sia nell’animo che nella mente. Grazie.

giovedì 19 novembre 2009

Ho letto IL PAESE DEI PESCIDORO


Se Marc Chagall fosse stato uno scrittore, avrebbe scritto come Luca Ciarabelli.


Avrebbe narrato la storia di Cornelio Persico, ragazzo sognatore ed anticonformista di Villatinferno, una volta conosciuto come il paese dell'antica famiglia dei Pescidoro, di cui ora rimane solo l'Albergo: un manicomio.


Avrebbe descritto, al pari di Ciarabelli, quel paese onirico, sospeso nello spazio, ed i suoi particolari abitanti.



Avrebbe raccontato di come Cornelio, spinto dal desiderio di trasporre Via col Vento a teatro, spinto dalla Vocecita, dal suo innato senso di libertà e dall'insoddisfazione della sua quotidianeità, contravvenga alle leggi, al luogo comune, al pregiudizio, all'ignoranza. Ma il sogno non paga, al momento, e Persico viene rinchiuso in manicomio. Qui incontrerà l'amore e amerà come si ama solo una volta nella vita.

Non si può non pensare a Cornelio e ad Angela Delcielo ammirando le coppie di innamorati spesso dipinti da Chagall.


Immergersi nella lettura di questo romanzo è come tuffarsi in un quadro del grande artista bielorusso, e farsi permeare dall'olio dei colori, dai loro odori e vivere una storia intensa, onirica, romantica e divertente. Ti senti leggero e voli sopra la banalità e le brutture del mondo.
Un romanzo unico, fuori dal coro e lontano dai soliti cliché, caratterizzato da uno stile narrativo e da una padronanza della nostra bella lingua italiana che pochi scrittori hanno.






Ciarabelli, non solo in questo romanzo, ma anche nel primo, "Il bambino che fumava le prugne", fa della parola quello che Chagall faceva dei colori: romanzi all'avanguardia.


Qui l'intervista a Luca per "Il bambino che fumava le prugne": Il bambino che fumava le prugne - intervista


Luca Ciarabelli
"Il paese dei Pescidoro"
Il Maestrale
Pag. 190
ISBN 978 88 64290 00 3





mercoledì 11 novembre 2009

Vedi le cose e dici: "Perché?". Ma io sogno cose
che non sono mai esistite e dico: "Perché no?".

(G. B. Shaw)


(George Bernard Shaw, scrittore e drammaturgo irlandese. Premio Nobel per la Letteratura nel 1925)






giovedì 5 novembre 2009

Il Commissario Soneri e la mano di Dio


Caro il mio buon Soneri, la scoperta di quel cadavere nel greto della Parma – “Qui i torrenti sono femmine!”, spieghi a Juvara -, ed il ritrovamento di un furgone con cinque fucilate a pallettoni nella carrozzeria ti hanno portato lontano, a Monteripa, da dove parte l’acqua che passa sotto i ponti di Parma, durante questo inverno rigido e spietato.

Isolato in quel paese freddo e chiuso, forse ti trovi bene, hai modo di pensare, di ritrovarti, di scavare nell’animo umano degli indagati, e nel tuo, lontano dalla frenesia e dai riflettori della città.
Mentre Juvara agisce in città sotto tue indicazioni, con ottimi risultati, tu, tra passeggiate nei boschi, cimiteri, guardaboschi, bracconieri, comunità neo hippy isolate tra i monti, senza darti per vinto, cerchi le tue risposte e l’assassino di Malpeli.

In quel luogo dimenticato da Dio, ti sembra di essere molto lontano dalla cosiddetta società, immerso in quella neve che attutisce tutti suoni e le emozioni, ma non le tue.
Ti sembra di essere racchiuso in quelle palle di vetro che si agitano e si capovolgono per veder fioccare. Ma la neve non può attenuare l’urlo dell’animo umano e della società, scaturito dalla corruzione, dalla delinquenza, dall’invidia, dall’avidità, dalla lussuria, dalla passione e dal delitto, che neppure lì mancano, e tutto si trasforma in tormenta, la mano di Dio sta agitando la palla di vetro.

Rifletti molto durante questa avventura e fai riflettere anche me, lettore, a volte carico di stanchezza come te, a volte con rimpianto per come vanno le cose e per come sarebbero potute andare, spesso con ironia, ma sempre con grande umanità, tua dote migliore. Appari anche ingenuo a tratti, un’ingenuità genuina, disarmante per un Commissario, sai ancora stupirti, ed io mi stupisco con te, e mi piace. Sei così capace di coinvolgermi che ho freddo anch’io e non vedo l’ora di rintanarmi all’osteria di Egisto per farmi un grappino.

Sembri vicino alla soluzione, ma la mano agita la palla di vetro, e si ricomincia, qualcosa non tornava. I fiocchi si posano. Bene, allora cambi direzione e riprendi il cammino ora che è tutto tranquillo, ma no: ancora uno scossone alla palla, no! Poi quiete, poi scossone.

Alla fine l’assassino è scoperto; sei riuscito a fermare la mano, o è lei che ha deciso di fermarsi?
Comunque siano andate le cose – ancora ci sto pensando, mi hai messa di fronte a questioni per nulla banali – ti ringrazio per aver condiviso con me questa tua avventura e ti auguro di ricevere tante altre scarpette di Sant’Ilario.

lunedì 2 novembre 2009

Jane Austen


Per tutti gli appassionati di Jane Austen, consiglio il sito di Giuseppe Ierolli a lei dedicato.

Ierolli sta traducendo tutte le lettere della grande autrice, anche quelle non ancora tradotte in Italia.

E troverete tanto altro ancora.

Da non perdere! Ecco il link



Buon viaggio virtuale nel mondo di Jane!

Buon viaggio Alda!


Pensiero,io non ho più parole.
Ma cosa sei tu in sostanza?
qualcosa che lacrima a volte,
e a volte dà luce.
Pensiero,dove hai le radici?
Nella mia anima folle
o nel mio grembo distrutto?
Sei così ardito vorace,
consumi ogni distanza;
dimmi che io mi ritorca
come ha già fatto Orfeo
guardando la sua Euridice,
e così possa perderti
nell'antro della follia.

Alda Merini, da "La terra santa"

mercoledì 28 ottobre 2009

IL NUOVO ROMANZO DI LUCA CIARABELLI




Oggi esce "Il paese dei Pescidoro", il nuovo romanzo di Luca Ciarabelli.


Dalla presentazione del libro:


"Villatiferno è un piccolo paese incastrato negli Appennini dell’Italia centrale, sospeso fra realtà e immaginazione. È noto come «il paese dei Pescidoro», dal nome della famiglia nobile e terribile che ne ha scritto la storia fin dal Medioevo. A Villatiferno, passato, presente e futuro si mescolano tanto da confondersi. I suoi abitanti vivono in una quotidianità stagnante, sprofondati nel conformismo, in ossequio alle regole del potere costituito. Fa eccezione Cornelio Persico, nato in Argentina da Gustavo Ramiro, emigrato italiano ripiovuto in patria col bambino e il dolore sudamericano di una donna da dimenticare. Del grigiore paesano Cornelio non ha nulla: a partire dalle sue assurde camice floreali, fino al progetto di uno spettacolo teatrale che esca dalle solite rappresentazioni religiose. Folgorato dalla visione di Via col vento nel piccolo cinema del paese, Cornelio desidera farne una trasposizione drammatica. Sembra una cosa innocua, però i potenti di Villatiferno iniziano a vedervi un pericolo, quello della forza delle idee, per quanto pacifiche, e della sedizione dell’arte. Il progetto naufraga ma non nella mente del giovane, che non smette di pensare anche quando verrà internato nel palazzo storico dei Pescidoro, rifatto a manicomio e addolcito col nome di «Albergo». E infatti è solo l’inizio di un’avventura fra le stravaganze dei pazienti del manicomio, tentativi di fuga, amori… fino a una conclusione sorprendente. Cornelio è un irriducibile della autodeterminazione individuale. A tal punto che questo nuovo romanzo di Ciarabelli diviene il racconto di una libertà, l’elogio della diversità contro le omologazioni dei regimi totalitari, palesi e occulti. Una storia di cui oggi si sentiva il bisogno."

martedì 20 ottobre 2009

Premio Nobel per la letteratura 2009

Il premio Nobel per la Letteratura 2009 è stato assegnato a Herta Müller, scrittrice e poetessa tedesca di origine rumena, nota soprattutto per i suoi romanzi di denuncia ambientati nella Romania sotto la dittatura di Ceauşescu.

In Italia sono stati pubblicati solo tre romanzi, Bassure (Editori Riuniti), In viaggio su una gamba sola (Marsilio) e nel 2008 Il paese delle prugne verdi (Keller).


Per saperne di più






Congratulazioni a Herta Müller!

giovedì 15 ottobre 2009

ULTIMI ACQUISTI

"Corpo Morto", edito da PIEMME, secondo romanzo giallo, pubblicato a distanza di 12 dal primo "Testimone invisibile" dell'editore, Presidente dell'Associazione Editori Italiani e scrittore Marco Polillo, nonché ideatore della collana di mystery "I bassotti". Un grazie di cuore a Papà Bassotto, per tutto quello che fa.











"Il Commissario Soneri e la mano di Dio" di Valerio Varesi, edito da Frassinelli.
Ogni venerdì su RaiDue, in prima serata, Nebbie e Delitti 3. Luca Barbareschi interpreta il Commissario Soneri.

















Ancora da leggere, già ne pregusto il piacere.












Intervista a Luca Ciarabelli - Il bambino che fumava le prugne






Il tenente Bonarroti è chiamato ad indagare sull’incidente avvenuto nella Chiesa di Sant’Apollinare, a Ravenna, ai danni dell’archeologo Baldini, precipitato da un’impalcatura mentre era intento a picconare un mosaico. Si scopre subito che l’incidente in realtà è un omicidio, perpetrato con un raro veleno estratto dalle prugne.
Non è l’indagine a farla da padrona in questo romanzo, bensì una Ravenna surreale, sospesa nello spazio e nel tempo, metafisica, circondata da paludi, immersa nella calura estiva che la rende quasi una città fantasma e talmente spossata che nulla accade, popolata da stregoni, comari e compadri, che parlano una lingua tutta loro. Una città stanca. Una città orgogliosa dei suoi precedenti storici, abilmente raccontati dall’autore, appassionato di filosofia, che ci regala bei dialoghi e pensieri profondi, oltre a nozioni storiche mai pesanti.
Nonostante tutte queste sfumature, il mistero si infittisce ed il giallo prosegue fino all’ultima pagina.
Il 28 ottobre uscirà nelle librerie il secondo romanzo di questo promettente e simpatico autore, dal titolo "Il Paese dei Pescidoro".

BB: Il romanzo parte come un giallo, per poi dare spazio alla vera protagonista, la filosofia. Il vero giallo è la ricerca dell'uomo, di sé stessi?
LC: Sì. Nel mercato attuale è necessario dare delle etichette. Il romanzo è venduto come giallo, si parte da una situazione tipica del genere, l'omicidio, l'investigatore che deve risolverlo, ma poi c'è molto spazio per l'introspezione e la storicità.
BB: Come ti è venuta l'idea del romanzo, ambientato a Ravenna?
LC: Lavoravo qui a Ravenna in una multisala cinematografica, una di quelle amenità americane, e con un mio compagno di lavoro, che ho ringraziato alla fine del libro, in quei pomeriggi in cui non c'era nulla da fare, è nato l'embrione della storia. Più ampiamente, ho sempre avuto in animo di scrivere di Ravenna e questo libro è un omaggio a Ravenna, alla sua storia millenaria, alle bellezze che ci sono a cui purtroppo nessuno sembra più farci caso, va più la riviera che il centro storico. C'era la voglia di parlare di questo luogo, di entrare nelle sue viscere e di riviverne la storia.
BB: Da qui la volontà di non descrivere la Ravenna contemporanea, ma una città sospesa nel tempo?
LC: Certe descrizioni hanno molto a che fare con il verismo magico della letteratura sudamericana, che prendo a modello. L'idea, la sfida, era di cimentarsi in un genere molto forte come quello del giallo per colorarlo con scene, ambientazioni, pennellate, se vuoi, che appartengono ad un mondo diverso. Gli scrittori sudamericani vengono spesso tacciati di essere dei visionari, Màrquez replica che non sono dei visionari, ma dei cronisti; la loro realtà è talmente magica che basta guardarla e raccontarla. Io invece non vedo del magico, devo inventarlo. Ho lavorato di fantasia. L'idea era quella di costruire una Ravenna che credo che ben pochi abitanti possano riconoscere e che a me piacerebbe fosse vera. E' un mondo possibile.
BB: La filosofia è la tua passione?LC: La filosofia mi ha sempre interessato, ma non mi do credenziali da filosofo. Comunque è un amore che coltivo da sempre.
BB: Quanto c'è di autobiografico nel tenente?
LC: C'è tanto. Il tenente come me è uno straniero in terra straniera, deve farsi tradurre le parole in dialetto, altrimenti non capisce quello che gli altri dicono, c'è l'insonnia di cui io soffro, c'è la sua solitudine, in fondo, i suoi amori particolari. E c'è il fatto che sente il tempo trascorrere senza un apparente senso, per questo il tenente frequenta corsi di filosofia, per ricercare quel senso, la realtà di tutti i giorni non gli basta.


Intervista a Gianluca Morozzi - Colui che gli dei vogliono distruggere


BB: Qual è la genesi del libro? Hai utilizzato il Metodo Bukowski a cui ricorre Kabra, il co – protagonista del romanzo, per comporre il suo Capolavoro?
GM: L'idea è nata in un posto insolito, molto poco letterario, nel bagno della curva Andrea Costa dello Stadio di Bologna, durante Bologna – Cagliari. Sono entrato nel bagno, pensavo a tutt'altro e mi è venuta questa idea; il motivo non lo so e non lo voglio neanche sapere, forse, perché la mia psiche ne è uscita un pochino provata. Io leggo fumetti di supereroi da una vita, da quando avevo sei anni, e li ho sempre visti come una cosa bidimensionale, stampata e colorata su carta. Però ho visto che i supereroi funzionavano, anche al cinema, in una forma differente. E funzionavano bene! E mi sono chiesto se avrebbero funzionato anche in una forma ancora diversa, in un romanzo, con una struttura narrativa vera, ma inseriti in un contesto assolutamente insolito come Bologna, come il nostro presente, come l'Italia. Quindi è venuto fuori questo stranissimo ibrido.
Il Metodo Bukowski non l'ho usato: mi dispiace dirlo, ma purtroppo scrivo molto male da ubriaco.
BB: Oltre alla passione per i fumetti e per il calcio, la passione per la musica. Anche l'idea dei grandi della scena del Rock trasformati in supereroi e super cattivi ti è venuta in quel modo?
GM: No, solo l'idea del supereroe a Bologna. Questo è un romanzo che parla molto di creatività. Cosa succede se perdi la tua vena creativa, cosa succede se sei troppo felice per creare, cosa succede se ti rubano la tua vena creativa. Per esempio, Jhonny Grey è uno che non ha talento creativo, è bravo a suonare, a cantare, ma non sa scrivere canzoni, le ruba agli altri. Quindi cosa succede se sei David Bowie, in questo caso, e ti rubano in modo assolutamente inspiegabile la canzone che hai appena scritto? Cosa ti capita? Cosa fai? Alcuni sono buoni dentro, Bruce Springsteen è buono e rimane buono, David Bowie no, diventa cattivo.
BB: E' un caso che Bruce Springsteen rimanga buono?
GM: (Sorride) Bruce Springsteen è buono, buonissimo, bello oserei dire ed è un uomo meraviglioso.
BB: Credi negli universi paralleli, nei viaggi spazio – temporali?
GM: Non è che ci credo, mi piace pensare che possano esistere. Io non chiudo nessun tipo di possibilità. Anche nella reincarnazione, mi piacerebbe crederci, non la escludo; il mio prossimo romanzo parlerà proprio di questo.
BB: Quanto c'è di autobiografico, a parte le tue passioni?
GM: Nella parte super eroistica poco, perché purtroppo non ho poteri. Nella parte di Kabra sì; le esperienze televisive ad inizio romanzo con il giocoliere e la registrazione di un ultimo dell'anno avvenuta il 6 dicembre alle sette di sera. E poi c'è la vicenda di quando Kabra viene lasciato dalla ragazza, il secondo giorno di vacanza in Grecia, non era la Grecia però.
BB: Ci sarà un seguito?
GM: Io ne farei 500 di seguiti, se potessi, magari a fumetti, sarebbe bello farlo a fumetti.

DISCESA FATALE


Solo dalle penne di un ex ufficiale dell'esercito britannico, John Rhode, pseudonimo di Cecil John Street, e del maestro per eccellenza dei delitti della camera chiusa, Carter Dickson, alias John Dickson Carr, poteva fluire un enigma così ingegnoso ed originale, dalla soluzione lineare e logica, ma non banale.


Una serie di furti presso la sua casa editrice spinge Sir Ernest Tallant a contattare la polizia, ma i suoi sospetti moriranno con lui quando questi viene ucciso in sede, il Temple, alle 12.15, con un proiettile alla testa, mentre scende con il suo ascensore privato dal quinto piano al pianterreno, senza mai fermarsi. Le porte non possono aprirsi quando la cabina è in movimento e l'interno è visibile da ogni piano attraverso una porzione di vetro. Il fragore dello sparo è udito da tutto il personale, che subito accorre e che poi verrà prontamente trattenuto dalla polizia. All'interno della cabina c'è solo il cadavere di Sir Tallant; non v'è traccia dell'arma del delitto.
Il caso vuole che sulla scena del crimine sia presente il medico legale e criminologo Horatio Glass, uno degli ultimi, e dei tanti ultimi, ad aver visto dal vetro della porta dell'ascensore Sir Tallant vivo, e solo, mentre scendeva.
Quando l'Ispettore capo David Hornbeam di Scotland Yard arriva al Temple, inizia insieme al suo amico Glass una delle indagini più coinvolgenti mai descritte.


Quando si pensa di intravvedere una possibile soluzione, Hornbeam e Glass, Rhode e Dickson, l'hanno già considerata e confutata, e così per un'altra soluzione e un'altra ancora. Non c'è via d'uscita; sono sempre un passo avanti. L'identità del colpevole perde quasi di interesse, è la modalità che intriga.
“Discesa fatale” accontenta sia i sostenitori del metodo scientifico, seguito da Hornbeam, che gli appassionati del lato psicologico criminale, affrontato da Glass. I due approcci opposti, che per natura si attraggono, fanno scaturire divertenti, ma serie discussioni tra i due investigatori, che illuminano momentaneamente il lettore, illudendolo di essere vicino per l'ennesima volta alla soluzione, per poi farlo ripiombare in un baratro oscuro dal quale non esiste altra via d'uscita se non quella di leggere, leggere e leggere.


Non ci è dato di sapere chi tra i due autori ha scritto cosa o quanto, fatto sta che questo romanzo a quattro mani racchiude uno dei migliori delitti impossibili della camera chiusa mai ideati. Peccato sia l'unica produzione della coppia, perché il papà del professor Lancelot Priestley, John Rhode, e quello del dottor Gideon Fell e di Sir Henry Merrivale, John Dickson Carr, si sarebbero certamente superati.

TESTA DI TIGRE


Quasi simultaneamente vengono rinvenute due valigie, una alla stazione di Londra, l’altra presso la stazione di Leadenham, contenenti ciascuna due gambe e due braccia di donne. Il resto dei corpi non si trova. Ad indagare sul caso, una coppia di amici fisicamente ben assortita; il corpulento ispettore Hurst di Scotland Yard e l’alto e magro criminologo Alan Twist.


Un salto temporale di due mesi indietro ci porta proprio nel paese di Leadenham, ubicato ai piedi di una collina, nella campagna inglese, poco distante da Oxford. Qui incontriamo John McGregor, maggiore in riposo che ha prestato servizio in India per Sua Maestà per molti anni. Il maggiore suole intrattenere i suoi ospiti con i racconti che lo vedono testimone delle più svariate magie da parte di santoni e fachiri indiani. Per convincere il più scettico del gruppo della veridicità di ciò che ha visto, una sera decide di invocare il genio malefico che si nasconde nel pomolo forgiato a forma di testa di tigre di un bastone in bronzo regalatogli da un indiano. Durante l’esperimento, che ha luogo pochi giorni dopo il ritrovamento delle donne a pezzi, il maggiore muore e tutto fa credere veramente alla magia dato che il delitto, se di delitto si tratta, è avvenuto in una camera chiusa.


La trama ingegnosa di questo giallo legherà in modo logico tutti gli avvenimenti.
Leggendo il libro si è catapultati in quell’Inghilterra protagonista dei più originali enigmi nati dagli svariati scrittori britannici della cosiddetta età d’oro del giallo classico, e si ha la sensazione di star leggendo proprio uno di quei mystery, se non fosse che l’autore del romanzo sia Paul Halter, contemporaneo e francese, alsaziano.


Paul Halter esordisce nel 1987 con La quatrièm porte, edito in Italia da Il Giallo Mondadori con il titolo “La quarta porta”, con il quale vince subito il Prix du Festival de Cognac, a cui segue, l’anno successivo, un altro premio per il suo romanzo Le Broulliard rouge. Probabilmente Halter è l’unico scrittore vivente capace di ricreare quell’atmosfera tanto cara agli amanti del giallo classico inglese, con l’ulteriore particolarità, da grande ammiratore di John Dickson Carr quale è, di cimentarsi sempre, nei suoi romanzi, con i delitti della camera chiusa.

LA MANO SINISTRA DI DIO


Mi chiamo Dexter, Dexter Morgan e ne “La Mano Sinistra di Dio” vi racconto una delle poche vicende, se non l'unica, che è riuscita a coinvolgermi e ad emozionarmi, almeno un poco. Perché io fingo di vivere, o meglio, fingo di vivere come voi, fagocitati dalle vostre emozioni, dalle vostre paure, dalle vostre ansie, dalle vostre famiglie e dai vostri problemi. Io sono diverso, sono Dexter, sono senza coscienza, ed è proprio questa mancanza che mi permette di fingere di essere, di spingermi oltre con la menzogna, dissimulando il mio odio per il genere umano, donne comprese, per diventare l'affascinante, l'accondiscendente, il simpatico e comprensivo Dexter.
Sono un analista della Scientifica di Miami, ematologo, quindi immaginate la mia curiosità quando la mia sorellastra Deb, che anche lei lavora per la Polizia di Miami, buoncostume, mi coinvolge in un caso di serial killer di prostitute, i cui cadaveri vengono rinvenuti tagliati a pezzi, ciascuno avvolto nella plastica, senza neanche la traccia di una goccia di sangue, completamente ripuliti, un'opera d'arte. Rimango senza parole, come avrà fatto l'assassino? Magistrale.
Deb vuole il mio aiuto per una promozione a detective, si fida di me e mi vuole bene, per questo è l'unica persona per la quale provo simpatia. Deb sa di poter contare su di me per via del mio intuito, della mia capacità di entrare nella mente dei serial killer, di entrare nella mente di persone come me. Persone che si esprimono con l'arte dell'omicidio, dell'assassinio, della tortura fisica e psicologica. Io sono un maestro in quest'arte. Mi sono accorto di avere questo dono fin dall'età adolescenziale, ed anche mio padre adottivo, il padre di Deb, anch'egli poliziotto, se ne accorse. Mi consigliò di incanalare e controllare quel qualcosa che sento dentro, io lo chiamo il Passeggero Oscuro, colui che mi fa sembrare una buona idea uccidere qualcuno, e aggiunse:

“Puoi scegliere chi uccidere. C'è tanta gente che se lo merita, Dex...”. E con
quelle poche parole dà una forma alla mia vita intera, a tutto me stesso, a chi
sono e cosa sono. Quell'uomo meraviglioso che vede tutto e sa tutto. Harry. Il
mio papà. Se solo fossi stato capace di amare, avrei amato Harry.


Il mio lavoro alla scientifica mi avvantaggia notevolmente nella ricerca dei colpevoli che sono riusciti a sfuggire alla giustizia; sono il serial killer dei killer.
Potete comprendere quindi il mio sconvolgimento emotivo, il primo, quando ho assistito al ritrovamento di quei pezzi lindi, simmetrici, ordinati. Ho quasi provato reverenza davanti ad un lavoro così ben fatto. Un altro attento, preciso, impeccabile serial killer come me, possibile? L'ho presa sul personale, soprattutto dopo i messaggi di sfida che l'assassino mi ha lasciato in casa. Questo è troppo. Accetto la sfida, con l'aiuto del mio intuito e del Passeggero Oscuro.

La serie televisiva che mi vede come protagonista è diversa nel finale da quello che vi narro io, sia in questo romanzo, che nel successivo “Il nostro caro Dexter”. Quindi leggete, non fate i cattivi, vi conviene.


SAPORI ASSASSINI A BOMBAY


Primo romanzo dell'autrice indiana Kalpana Swaminathan che vede come protagonista Miss U. S. Lalli, ex poliziotta in pensione. U. S. sta per “ultima spiaggia”; l'ultima spiaggia della polizia di Bombay quando si arena in casi impossibili.


Lalli e sua nipote, la voce narrante, vengono invitate a Villa Ardeshir dalla padrona di casa, la loro amica Hilla, per un fine settimana all'insegna di ricercati menù gastronomici, insieme ad un gruppo di vip indiani ben assortito: una modella, una ricca coppia, uno scrittore affermato ed uno di serie b, una “femminista”, un famoso ballerino, un critico gastronomico e la nipote di Hilla, oltre naturalmente al cuoco. E proprio il cuoco ed i suoi manicaretti sono i veri protagonisti per le prime duecento pagine, finché questi non viene trovato morto ammazzato in cucina, chiusa dall'interno. Sicuramente l'assassino è uno degli ospiti, dato che la villa è isolata a causa di un monsone e a Miss Lalli non resta che indagare.


Il romanzo scorre piacevolmente grazie alla narrazione in prima persona ed ironica, a volte appesantita però da descrizioni troppo minuziose dei menù, da cui probabilmente l'idea del titolo italiano. Bello lo spaccato d'India che ne viene fuori, nazione dai molteplici contrasti, dai colori vivaci che fanno da sfondo sia all'estrema povertà presente che alla sfrenata ricchezza di altri, nazione moderna e tecnologica, ma con basi fortemente tradizionali, religiose ed intimiste. Coinvolgenti le descrizioni dei paesaggi.
La trama è sulla falsa riga del classico mystery anglosassone: un gruppo di persone riunite nel luogo dell'omicidio, costrette a rimanervici per cause di forza maggiore, ciascuna con un movente, un detective tra gli invitati, ed il Watson della situazione, nella fattispecie la nipote di Miss Lalli. Degno di nota, il ritorno al disegno della piantina della villa ed all'elenco dei personaggi ad inizio libro.


Se proprio si deve fare un confronto, Miss Lalli ricorda Jessica Fletcher, vuoi per l'età, ma soprattutto per il dinamismo e la prontezza di spirito, più che la pacata e riflessiva, sebbene intellettualmente vivace, Miss Marple, come ha detto la critica.
Speriamo sia a breve la traduzione del secondo romanzo con protagonista Miss Lalli, “The Gardener's song”.


TRAPPOLA PER TOPI


Alla domanda su cosa volesse che venisse trasmesso alla RADIO BBC per festeggiare il suo ottantesimo compleanno, la Regina Madre rispose: “Agatha Christie”.
Nacque così la commedia gialla in due atti Mousetrap, titolo ispirato dall'Amleto di Shakespeare, adattamento teatrale del racconto “Tre topolini ciechi”.



[RADIO] ...e, secondo Scotland Yard, il delitto ha avuto luogo a Paddington, in Culver Street... la vittima era una certa Maureen Lyon. La polizia ricerca attivamente, per interrogarlo, un uomo visto nelle vicinanze all'ora del delitto. Indossava un cappotto scuro, una sciarpa chiara e un cappello floscio....



La vicenda si svolge interamente nel salotto della pensione familiare “Castel del Frate” di proprietà di una giovane coppia, Mollie e Gills Ralston. Nonostante una tormenta di neve, riescono ad arrivare i cinque ospiti; il giovane e simpatico Christopher Wren, il risoluto Maggiore Metcalf, la vecchia pedante Signora Boyle, la depressa Signorina Casewell e l'inatteso e pittoresco Signor Paravicini.
Intanto le indagini sullo strangolatore di Culver Street portano anche il Sergente Trotter a Castel del Frate. L'atmosfera si fa più tesa quando il gruppo rimane intrappolato nella pensione, a causa dell'incessante tormenta che si è fatta sempre più violenta, isolandolo. Il pomeriggio seguente, la Signora Boyle viene uccisa.
Prende il via la più classica delle partite a Cluedo, ma con risvolti degni solo di Dame Christie, che con grande maestria e abilità da prestigiatore, semina il dubbio ed il sospetto facendo uscire dal suo cilindro biglietti del treno per Londra, cappotti scuri, sciarpe chiare e cappelli flosci.



La suspance è un crescendo continuo. A farla da padrone il leitmotiv “Tre topolini ciechi”, macabra nursery rhyme (tanto care alla Christie!), suonata al pianoforte ogni volta che sta per essere commesso un omicidio.
Non mancano l'ironia ed una sottile venatura di rosa. Questo miscuglio di ingredienti era per Agatha Christie il probabile motivo del successo inaspettato della commedia, tutt'ora rappresentata quotidianamente a Londra, ininterrottamente dal 10 ottobre del 1952.
E' molto piacevole una seconda lettura, durante la quale si possono apprezzare i palesi indizi che inizialmente sfuggono anche al lettore più attento, grazie all'abilità dell'indiscussa regina del giallo che ha sempre saputo come e dove spostare l'interesse.



Agatha Christie è così, ti prende per mano e ti porta dove vuole lei. Tu ti fai guidare volentieri, curioso ed eccitato, perché sai che non te ne pentirai.
http://www.milanonera.com/?p=2265



IL CASO DEI CIOCCOLATINI AVVELENATI


Ci deve essere nel romanzo un poliziotto, un solo “deduttore, un solo “deus ex machina”. Mettere in scena tre, quattro, o addirittura una banda di segugi per risolvere il problema significa non soltanto disperdere l’interesse, spezzare il filo della logica, ma anche attribuirsi un antipatico vantaggio sul lettore.


Così recita la nona delle “Venti regole per chi scrive romanzi polizieschi” del grande giallista S.S. Van Dine, pubblicate nel 1928.
Proprio in questa trasgressione sta la genialità dell’inglese Anthony Berkeley Cox, che nel 1929 scrisse “Il Caso dei Cioccolatini Avvelenati”, sviluppato dal suo racconto del 1925 “Il Caso Vendicatore”, considerato quest'ultimo uno dei quindici migliori racconti dell'età d'oro del giallo secondo maestri del calibro di John Dickson Carr ed Ellery Queen, pubblicato nell'antologia “Enigmi e Misteri” di Polillo Editore.


Come tutti i giorni, puntuale alle 10.30, lo scorbutico e supponente Sir Eustace fa il suo ingresso all’esclusivo club Rainbow di Piccadilly. Tra la posta recapitatagli una scatola di cioccolatini da parte della rinomata ditta Mason, omaggio che l’indignato Sir Eustace rifiuta, non vuol esser scambiato per una stupida ballerinetta di fila, e che cede al Sig. Bendix, altro membro del club, il quale aveva scommesso con la moglie proprio una scatola di cioccolatini.
I dolcetti sono avvelenati e la Signora Bendix muore.
Scotland Yard brancola nel buio; è sicuramente l’opera di un pazzo. Così l’ispettore capo Moresby, ospite del Circolo del Crimine fondato dal suo amico Sir Roger Sheringham, espone nei minimi dettagli il caso ai sei membri, che si cimenteranno provetti detective sul campo, ognuno con i propri metodi, ed esporranno la propria teoria, a turno, durante la riunione del lunedì sera.


Berkely mostra come, a partire da una serie di indizi, si possano trovare soluzioni alternative al caso, basandosi su metodi diversi – deduttivo, induttivo, psicologico - a seconda soprattutto della predisposizione mentale e caratteriale dell'investigatore verso l'enigma. La trama non risulta appesantita da questa lezione, è sempre supportata da un sottile strato di humor tipicamente inglese che rende i protagonisti quasi delle macchiette, senza però cadere nel grottesco.
Divertono le descrizioni delle riunioni ed i battibecchi tra i membri, ancor più del dovuto se si pensa che Anthony Berkeley Cox fu il fondatore, nel 1928, del celebre Detection Club di Londra, tuttora attivo.
Sir Roger Sheringham compare in altri dieci romanzi e due racconti firmati come Anthony Barkeley, mentre con lo pseudonimo Francis Iles vennero pubblicati gialli incentrati sulla psicologia dell'assassino, tra cui “Il sospetto”, da cui Hitchcock trasse l'omonimo film.
Contravvenendo alla nona regola di Van Dine, Berkeley ci ha regalato un romanzo sorprendente in cui l'interesse del lettore non viene assolutamente disperso. Tuttavia l'autore non si è spinto oltre, le restanti regole “vandiniane” sono rispettate; in particolare il colpevole c'è ed è uno solo.

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